Degli imprinting


Il posto del cuore


Ognuno di noi ha un posto magico, nella sua memoria, ma soprattutto nel suo cuore.


Del posto in questione, che sia una casa, un edificio, un paese, una città o una strada abbiamo ricordo di ogni senso: olfatto, tatto, udito, gusto e ovviamente vista. Ogni sensazione che si riaccende in noi rispolvera, come fosse appena stata tirata fuori dopo tanto da un comodino, i momenti magici passati in quel luogo.


Il ricordo del posto dell’imprintig non sempre coincide con il periodo dell’infanzia, dipende se si hanno trascorsi positivi o meno, ma la maggior parte delle volte è, ed aggiungo giustamente, così. Come riuscire a cogliere meglio l’anima di un luogo se non attraverso la genuinità che è in dono al noi fanciullo? Con le dita delle mani che toccano noncuranti ogni tipo di oggetto dalla terra ai sassi all’intonaco fresco di un palazzo in ristrutturazione oppure a quello scoppiato dall’umidità di una casa più datata. Chi, se non un bambino, può capire e tradurre in parole il cinguettare degli uccelli o il frinire delle cicale. E si potrebbe continuare all’infinto.


Il mio luogo del cuore, il posto in cui sono cresciuto, e che vivo per lunghi periodi dell’anno ancora oggi, si chiama Lucoli e si trova tre le montagne dell’Appennino centrale. Un paese con una storia millenaria tra abbazie e piccoli insediamenti romani su crinali e valli, tra ruscelli e boschi, frammentato nel suo sviluppo urbano dall’orografia e dalle formazioni geologiche, che oggi conta poco più di mille abitanti.


Un pezzo di mondo magico che viaggia ad una velocità più bassa rispetto al suo immediato intorno, tra la ciclicità delle stagioni nevose d’inverno e tiepide d’estate, tra albe e tramonti che si susseguono ogni giorno più belle, l’aria limpida, il vento di montagna che grida dall’autunno alla primavera e le piogge maggiatiche che ricordano ogni anno l’arrivo imminente dell’estate.


Tra i tornanti e i brevi rettilinei incastonati sui versanti, che fungono da porta d’ingresso come l’armadio per il regno di Narnia, si hanno mano a mano delle vere e proprie epifanie, che iniziano dai piccoli orti coltivati all’inizio della vallata sul poco terreno in piano a disposizione, passando poco dopo all’inizio dei boschi di faggi. Tra cervi, istrici e cinghiali che attraversando la strada rammentano che la natura qui prevale sull’uomo ancora per molti aspetti. Man mano che si prosegue la vallata inizia a prendere forma e si incontrano le prime case con vie sempre più strette, non pensate per un traffico a motore. Da qui si può continuare dritto restando sul fianco baciato dal sole morente del paese, oppure scegliere di attraversare “ju Rio” che raccogliendo tutte le acque piovane della valle solca con il suo passaggio la terra, per approdare sul versante opposto, soleggiato soltanto nelle prime ore del giorno.


Continuando, momentaneamente dritti, si attraverseranno frazioni sempre più montane, ricche di storia, come Collimento, sede del comune, la frazione principale e più influente fin dal Medioevo con la casa del Conte. Poi, salendo sul fianco della montagna, edifici religiosi maestosi, non nell’architettura ma nella naturalità che li circonda, si riveleranno come l’abbazia di San Giovanni Battista fondata nel 1077 e tutt’oggi presente, e come la chiesa di San Michele, con una posizione invidiabile sul cucuzzolo di un promontorio che si erge perfettamente al centro della vallata e da cui è possibile vedere ogni confine di quest’ultima. Si arriva infine all’ultimo paese, 1400 metri di altitudine e oltre: qui la montagna inizia a farsi sentire davvero e ogni inverno ricorda a tutti che è padrona con neve e freddo. Poi ci si addentra davvero nella montagna più pura, senza abitati che sfocia in una delle più belle pianure in quota d’Italia, quella di Campo Felice.


Torniamo ora allo svincolo, perché io sono cresciuto nei paesi della vallata opposta alla descrizione soprastante, agglomerati di case parenti dei lontani insediamenti romani della zona come ricorda anche il nome attuale: le Ville, dovuto ad una narrazione che cita la presenza di 4 ville romane sulla strada “Silva Plana” che solca la cresta. Da qui ogni tramonto ti fa sentire vivo: arancione, a volte rosa, un arcobaleno di colori per una situazione ripetuta 365 giorni l’anno. Inoltre, la vista del monte Orsello, che imponente svetta e abbraccia con le sue ali rocciose tutta la parte sud ovest della valle, da un senso di protezione e di calore familiare che non possono lasciare indifferenti.


Di questo posto del cuore ho due tipi di ricordi, quelli che sono impressi nella mia mente prima che avvenisse il terremoto del 2009 e gli altri che sono venuti dopo. I primi sono ricordi per lo più riguardanti edifici, ed il tempo trascorso dentro di essi come la casa dei nonni, la chiesa del paese, la cantina, il viale con i sampietrini per entrare nel “palazzo”, mentre per quanto riguarda i secondi, che continuano ad evolversi tutt’ora vivendo e scoprendo sempre più angoli nascosti di boschi, case abbandonate e strade sterrate sono ricordi e sensazioni in cui prevalgono spazi aperti. Forse tutto ciò è dovuto anche al trauma vissuto ma non saprei dirlo con certezza.


Per la parte precedente al terremoto ho ricordi molto vividi. Le persone bellissime che abitavano sul nostro stesso pianerottolo, la mia amichetta con cui passavo le giornate d’estate e le vacanze di Natale, mio nonno ancora in grado di tirare i calci al pallone insieme a suo nipote, le ferite alle ginocchia che mi procuravo cadendo su quegli stessi sampietrini che mi piacevano cosi tanto e che in agosto si riempivano delle prugne che non si riuscivano a raccogliere. Poi ancora gli odori della cucina della nonna, il camino dove cuocevamo le bruschette d’inverno, i pomeriggi passati a costruire le Lego con la neve o la pioggia battente fuori, il rumore dei vetri delle finestre così sottili e cosi vecchie, le venature della scala in legno per salire in camera di mio zio, oppure il cigolio delle molle del letto di nonna su cui guardavo i cartoni animati dopo pranzo. L’odore dell’incenso acceso da nonno durante le funzioni religiose, l’odore di gas e il calore delle stufe della chiesa, oppure l’odore delle candele che rigorosamente spegnevo al termine delle funzioni.


Dopo l’evento del terremoto invece, all’età di nove anni, come detto i ricordi e le sensazioni sono completamente spostati all’esterno degli edifici, alla conquista e all’esplorazione della natura come per esempio il ricordo della ruvida corteccia dell’albero che si scalava tutti insieme vicino al campo sportivo, oppure l’odore e la sensazione di quel polveroso brecciolino sotto le scarpe del campo delle tende dove abbiamo dormito per mesi. Poi ancora i ricordi delle innumerevoli partite e tornei di calcio davanti la chiesa, i giri con le biciclette, l’odore dell’erba del prato alta fino alla vita che lasciava le sue tracce sui vestiti al nostro passaggio, i brividi di freddo per le lunghe serate passate a parlare fino a notte fonda nel nostro punto di ritrovo, il nascondino, gli odori e il frastuono del bar del paese mentre giocavamo a carte oppure al calciobalilla. Come dimenticare, una volta presa la patente, i lunghissimi giri spersi per le montagne con la vecchia jeep di zio, con suoi sedili in pelle consumati, la pace ed il fresco del bosco, lo stupore dell’incontro di mandrie di cavalli o di mucche sparse tra i monti.


Sicuramente anche qui le sensazioni ed i ricordi, tramite un’attenta ricerca, potrebbero essere elencati ancora per moltissime pagine, ma forse non si riuscirebbe a capire bene quanto la mia coscienza consideri Lucoli come il posto del mio imprinting (e ovviamente del mio cuore) senza citare la poesia che io scrissi per mio nonno, quello che non ho avuto la possibilità e la fortuna di conoscere, più o meno quando volgevo al termine del mio dodicesimo anno di età. La poesia si conclude proprio con un passaggio dedicato a questo mondo incantato che non riusciva a lasciare indifferenti entrambi:


A TE, NONNO


Porto il tuo nome, nonno,
ma non ti ho mai conosciuto.
I miei quattro mesi di vita,
allora te ne sei andato,
non mi permettono di ricordarti.

Già da piccolino, però,
guardavo spesso la tua foto sopra il mobile della sala
ma, ancora oggi, faccio lavorare l’immaginazione
per ricostruirti dentro di me
facendo uso di tutti i racconti della nonna.

Crescendo ho capito tutto ciò che facevi
e spesso papà dice che i miei comportamenti assomigliano ai tuoi.
Dai racconti della famiglia
scopro ogni giorno qualcosa che ci accomuna
come ad esempio alcune passioni.

Mi sarebbe piaciuto molto passare del tempo insieme
ed essere proprio come due amici;
mi piacerebbe ridere e scherzare insieme a te nonno,
ma tutto ciò è pura fantasia,
poiché alla mia alba hai conosciuto il tuo tramonto
e sei sparito dietro le montagne a noi tanto care.

Nelle foto inserite sopra (scattate durante l’ultima estate) è possibile ammirare il paesaggio di Lucoli per primo, con la chiesa di San Michele che svetta al centro della vallata e la vetta del monte Orsello sulla destra. Nella seconda foto uno dei tramonti visibili dalla cresta abitata.


Nelle foto di sotto invece ho provato, grazie all’intelligenza artificiale generativa, ad inserire un centro abitato di grosse dimensioni all’interno della valla, per andare a scardinare l’aurea di magia che ho cercato di descrivere a parole nel testo. Le foto che ho inserito sono alcuni tra i risultati più soddisfacenti che sono stati generati.